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Rosolino Pizzuto - Finalista 2013

26/05/2021
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Si dice che la malattia ti fa diventare egoista. Forse è la verità, ma una cosa ci accomuna tutti, ed alla vita. La mia storia è la madre di tutte le storie, però! Sono Rosolino ho 48 anni compiuti da qualche mese. Scrivo questi pensieri non tanto per ambire a qualcosa, ma per tentare di offrire un qualche stimolo a tutte quelle persone che si sentono defraudate nella loro vita senza nessuna colpa. Il primo pugno nello stomaco, alla tenera età di 7 anni, è stata la morte di mia nonna, alla quale ero molto affezionato. Ancora ricordo i gustosissimi piatti di pasta al sugo che mi preparava: avevano un sapore particolare. Morì di tumore al seno e per me fu un vero shock.

Piansi per giorni interi, poi le continue coccole dei miei genitori, mi aiutarono a riprendere la vita di un bambino spensierato di 7 anni. La famiglia di mio padre era numerosa, erano quattro fratelli ed una sorella, mio papà era l’ultimo dei cinque fratelli. Nel 1984 il quarto fratello di mio padre veniva portato al pronto soccorso per forti dolori al torace. Dopo un paio di giorni la diagnosi infausta un tumore alla vena aorta, le possibilità di riuscita dell’ intervento chirurgico molto scarse, dopo un consulto familiare si decideva di provare. Ma l’esito dell’intervento sanciva solo l’impossibilità di intervenire. Iniziavano i viaggi della speranza a Padova con permanenze molto lunghe dei tre fratelli. L’evoluzione rapida e sofferta ci lascia soli e sgomenti.

Dopo meno di un anno rivivevo la stessa esperienza, il secondo fratello di mio padre veniva colpito dallo stesso inesorabile male ai polmoni, e ai reni. Ma stavolta, dopo il solito consulto familiare, si decideva di fruire delle strutture locali. Per singolare fortuna le sofferenze rimanevano circoscritte a pochi mesi, ma i soliti fantasmi riaffioravano inesorabilmente. Anche questa volta con l’aiuto di mia moglie, degli amici mandavo giù il rospo. La mia famiglia, originariamente composta dai miei genitori da un fratello e da una sorella entrambi più piccoli di me continuava a ricevere occasioni, stavolta dirette, di sofferenze e rabbia. Il 27 maggio del 1992, dopo tantissima sofferenza, moriva mio fratello per un melanoma al torace trasformatosi in metastasi al midollo osseo meglio non aggiungere altro, aveva da poco compiuto 22 anni.

Dopo circa due anni, forse per via dei dolori e delle sberle ricevute dalla vita, mio padre all’età di 52 anni nonostante conducesse una vita salutare, in quanto arbitro di serie B, moriva di tumore. Questa volta il colpo era troppo forte di colpo la mia vita cambiava: da figlio di famiglia divento capo famiglia, con grosse responsabilità, fra le quali crescere una sorella ancora minorenne ed aiutare mia madre già fortemente provata per la prematura morte del figlio.

Non c’è spazio per i divertimenti, per le feste, mia moglie mi stava vicino crescendo insieme. risalire la china è stato difficile, ma ci ha fatto maturare tanto. Passavano gli anni senza infauste disgrazie. Sembrava! A febbraio del 1999 mia mamma incominciava a star male, dolore all’addome, nausea e diarrea diventavano sempre più insistenti. Si pensava ad una forte gastrite, ma il persistere di questi sintomi ed il continuo aumento dei dolori addominali rendeva necessari i controlli in una clinica specializzata. Nel frattempo mia moglie vincendo un concorso pubblico ed essendo stata destinata a Bergamo si trasferiva in quei luoghi.

Dopo un paio di giorni, il chirurgo della clinica mi illustrava la diagnosi carcinoma al colon. Mia mamma veniva colostomizzata. Aspettative di vita scarne massimo sei mesi vita. La delusione, più forte stavolta infatti mi trovavo da solo, il mio fianco era scoperto, mia moglie non c’era. Le necessità erano fronteggiare la situazione e istruire mia sorella appena ventenne cercando di non traumatizzarla più di tanto. Nel frattempo decidevamo di sposarci e per dare degli stimoli a mia madre, comunicandole la nostra decisione, le richiedevamo il suo aiuto. L’evento la coinvolgeva al punto che sembrava sopportare gli effetti collaterali della chemio con una massiccia dose di positività.

Ma per quanto sia io che mia moglie incrementavamo gli stimoli anche con l’arrivo del primo bebè, l’evoluzione non si fermava e all’età di 56 anni anche lei se ne andava. Il mio carattere cambia, il rapporto con vita quotidiana muta, niente programmi a lunga scadenza, ed una costante compagna mi sta di fianco, la testardaggine, la mia qualità migliore. Nell’aprile del 2005, in occasione di un controllo endoscopico, effettuato su consiglio del medico di famiglia vista la supposta familiarità, viene diagnosticata la poliposi adenomatosa familiare. Il tempo in cui viene fatta la diagnosi è fatalmente felice sono in attesa del secondo figlio. il contesto si fa triste quando le informazioni frammentarie di quei giorni cominciamo a prendere corpo e disegnano un tempo di preoccupazione per i figli.

Con il passare dei mesi si elabora il concetto che non ci si trova di fronte ad una calamità familiare, ma ad un appello offerto dal cielo. Appello consistente nella possibilità di subire un intervento in un epoca non sospetta non vi sono carcinomi, ma adenomi di displasia media. Viene effettuato il prelievo del DNA il cui esito certifica la Paf, la mutazione genetica riscontrata è una mutazione rara e quindi nel male e nel bene non ci sono certezze sull’evoluzione della malattia. Il primo intervento, consistente nell’asportazione di colon e retto e nel confezionamento di una pouch ileale interna e di una ileostomia provvisoria, comporta un decorso post operatorio ottimo, tanto che, dopo cinque giorni dall’intervento vengo dimesso.

L’ileostomia provvisoria non mi impressiona anche se i primi giorni a casa sono stati un po’ complicati, sebbene istruiti dallo stomaterapista. Dopo circa una settimana son cominciati i guai. L’ileo per una bizzarra fatalità si era aggrovigliato su se stesso, causando un blocco intestinale. Rientrato in ospedale in preda a forti dolori tipici mi ricanalizzano. A quel punto non vedendo più quel corpo estraneo, mi tranquillizzo, pensando che il più è fatto, ed invece no. In ospedale stento a canalizzare verso la pouch e non c’e’ la ripresa sperata, le scariche diventano ogni giorno, ogni mese, ogni anno sempre di più. Vengo preso in carico dalla terapia del dolore, il gastroenterologo prova di tutto e di più, la depressione aumenta anche se i bambini cercano di darmi degli stimoli e mia moglie con dolcezza ed amore cerca di starmi più vicino possibile.

Ma, mi accorgo che la mia famiglia che tanto amo e di cui vado fiero, viene trascurata dal mio atteggiamento di chiusura, la cosa mi addolora molto. Decidiamo di intraprendere la strada di un aiuto psichiatrico col tempo la cosa migliora un po’, ma restano dei problemi irrisolti. Dopo i ripetuti blocchi intestinali e le corse in ospedale, il gastroenterologo sostiene la necessità di sottopormi ad una laparoscopia esplorativa. Non ci si spiega il dolore diffuso all’addome e i continui blocchi. Gli esami endoscopici non evidenziano alcun problema per cui i continui blocchi rimangono ancora di più senza spiegazione.

L’intervento esplorativo viene trasformato in laparotomia e poi in intervento convenzionale in quanto l’addome è assolutamente impraticabile, vengono lise un centinaio di aderenze e viene accorciato ulteriormente l’ileo. In sala operatoria viene confezionata un’ileostomia a doppia canna non potendosi fare altro vista la difficoltà di lidere le aderenze senza compromettere gli altri organi. La prima fase post operatoria, un disastro, nonostante la buona volontà del personale infermieristico, assolutamente sprovvisto di competenze specifiche per la gestione delle stomie. Tutto con enorme aggravio delle condizione della cute attorno alla stomia.

Dopo giorni di sofferenza inutile e gratuita convocano il signor Alessandro, rappresentante della ConvaTec, che con poche ma sicure manovre ed accorgimenti riesce a individuare il miglior modo per fare aderire la placca su una cute compromessa. Vengo indirizzato verso l’attuale stomaterapista (la signora Viviana Melis) al fine di trovare il sistema migliore per la mia conformazione addominale. Sembra che forse finalmente il brutto sia alle spalle, vengo visitato in maniera accurata da Viviana che, con molta tranquillità, mi consiglia come più congeniale, un sistema due pezzi, il più adatto alle caratteristiche del mio addome.

Sembra che tutto volga per il verso giusto, ma dopo 7 mesi si formano delle stenosi che impediscono la fuori uscita delle feci. Ricoverato nuovamente, Viviana e la chirurgia I° decide di spostare la stomia disegnandola a cinque centimetri di distanza. In sala operatoria, i chirurghi si trovano davanti ad un dilemma se chiudere la via naturale in maniera definitiva oppure lasciare la doppia canna, dopo un consulto e lo studio delle lastre fatte in sala operatoria, decidono di lasciare la doppia canna. Oggi, 18 giugno 2013, sono una persona rinata uso un sistema due pezzi e gli accessori relativi. Viviana si meraviglia come mai riesco a tenere la stessa placca per più di 6 giorni la mia cute è rosea e morbida come il culetto di un neonato.

Grazie Viviana, grazie ConvaTec se oggi mi permetto il lusso di fare cose che avevo dimenticato, come ad esempio vivere qualche ore di spensieratezza in più con i miei bambini allenandoli al basket. Grazie alle consulenti del Servizio ConvaTel® che siete sempre disponibili piene di risorse, di gentilezza. Ma il grazie più importante lo rivolgo alla mia dolce metà, mia moglie che in questi anni difficilissimi è stata sempre presente .

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