Michele Caggianelli
La mia avventura è iniziata nel lontano 1993, ben ventiquattro anni fa. A quei tempi ero ancora un ragazzino che frequentava la prima superiore e che doveva nascondere ai coetanei di andare in bagno qualche volta più di loro. Non mi andava di spiegare la cosa a nessuno, neanche agli amici più stretti, perché penso che il disagio di questo problema, a quell’età, non l’avrei capito neanche io. Purtroppo però, pur mettendocela tutta, la voce che ero un utilizzatore assiduo del bagno venne fuori e mi turbò abbastanza, d'altronde le battute su questo tema si sprecano.
Negli anni novanta non avevo ancora Internet per cui vivevo la malattia con spensieratezza, pensavo che il Morbo di Crohn (ogni volta che lo scrivo ho il dubbio di dove mettere la h) avesse raggiunto la sua massima espressione con quei piccoli disturbi che non influenzavano così tanto la mia vita sociale, per cui mi potevo ritenere fortunato. Solo una cosa mi turbò; un discorso che un giorno durante una visita mi fece il mio gastroenterologo, mi spiegò che se l’intestino si fosse infiammato troppo avrebbe dovuto asportarmi un pezzo di colon alla volta sino a quando sarebbe stato costretto a mettermi la sacca.
A primo impatto la cosa mi spaventò molto e non avrei mai pensato che la “minaccia” più brutta della mia adolescenza in età adulta si sarebbe rivelato più grande dono per iniziare la mia seconda vita. Purtroppo, dopo il diploma la mia malattia si svegliò seriamente, per cui tutta la mia vita universitaria fu abbastanza travagliata, iniziarono i primi ricoveri, i primi piccoli interventi e i primi cicli di cortisone. Con il cortisone mi si gonfiava la faccia in maniera spropositata, alcune persone quasi non mi riconoscevano, per cui il nascondere la malattia diventava sempre più difficile.
Le cose che mi davano più fastidio erano tante, dalle espressioni compassionevoli, alle risate dietro le spalle delle persone ignoranti, alle domande stupide dei soliti curiosi. Proprio in quei periodo entra in gioco la persona che mi aiutato e mi è stata sempre vicina in questa avventura, Paola. Era una mia amica di infanzia che ricontattai in una fase di remissione della malattia e fin da subito le confidai tutti i miei problemi perché in lei vedevo più che un’amica, una compagna di vita con cui condividere gioie e dolori.
Da quel momento la convivenza con la mia malattia diventò una cosa a tre o meglio, eravamo due contro uno; infatti, Paola, mi diede la forza di affrontare ogni problema. Una volta finita l’Università, iniziai a lavorare e qui mi accorsi quanto la malattia stesse diventando invalidante, infatti le giornate in ufficio erano lunghe e faticose, la sera quando tornavo a casa non ero in grado di fare niente. Il mio primo pensiero era quello di non perdere il lavoro, per cui avevo messo da parte la mia vita sociale. Questo fu un periodo di continue rinunce dalla cena in compagnia o una vacanza insieme ad altri amici. Tutto quello che facevo era sempre appesantito da un velo d’ansia che non mi dava mai la possibilità di vivere a pieno le poche cose che riuscivo a fare. Mi mancavano serenità e spensieratezza. Per fortuna accanto avevo una persona che mi amava e che non mi faceva pesare nulla di quello che non riuscivamo a fare.
Insomma, la malattia non mi dava pace: non riuscivo a passare un anno senza una recidiva, i medici provarono ogni tipo di terapia dagli immunosoppressori ai farmaci biologici, ma l’unica cosa che faceva effetto sul mio colon era il cortisone. Arrivò così il punto in cui il mio sigma era così mal ridotto che dovettero togliermelo mettendomi una ileostomia temporanea per un anno. Devo dire che quell’anno fu molto importante per me, addirittura rivelatore, perché mi fece capire come si stava bene senza l’ansia di sapere dove era il bagno più vicino.
In quell’anno riuscii a fare cose che da molto tempo non riuscivo più a fare. Sempre in questo periodo ho conosciuto una persona molto importante, la stomaterapista Ornella. Le nostre sedute, più che delle semplici visite, erano un’occasione di parlare di un problema che ero riuscito a sdrammatizzare grazie al fatto che ero nel complesso più sereno. Passato un anno mi trovai davanti all’intervento di ricanalizzazione e in quel momento le paure furono tante, perché stavo lasciando un modo di vivere che mi aveva dato tanto, e che una parte di me sperava che in futuro non gli fosse più servito, per riiniziare con la massima fiducia il nuovo percorso con il colon disinfiammato grazie ad un lungo periodo di riposo.
Purtroppo le speranze e le illusioni che tutto potesse andare bene durarono solo pochi mesi, infatti una nuova recidiva mi costrinse ad un nuovo pesante ciclo di cortisone. Dopo l’ennesimo ciclo terapeutico fallimentare, ed un colon in pessime condizioni, il mio chirurgo mi mise davanti ad un bivio: da una parte si poteva tentare con l’ennesima operazione cercando di salvare il colon, ma con il rischio che l’intestino rimanente non fosse stato nelle condizioni di darmi una qualità di vita dignitosa; dall’altra c’era una colostomia definitiva.
In questa scelta giocarono un ruolo decisivo la mia ragazza Paola e la mia famiglia, che mi diedero una grande sicurezza, e poi Ornella, la mia stomaterapista dell’epoca che ormai consideravo una vera amica. Tutti insieme mi fecero capire che le cose in quella maniera non sarebbero potute andare avanti a lungo e che i cicli di cortisone mi stavano solo rovinando. Per cui nel giro di pochi giorni decisi e mi feci operare anche grazie alla consapevolezza di cosa mi aspettava avendo provato la stomia un paio di anni prima. Purtroppo i protocolli medici consigliavano la via conservativa per il tipo di malattia che ho, per cui il chirurgo fu costretto ad eseguire una colostomia, se pur io ero del parere contrario.
Volevo subito una ileostomia, ormai non credevo più nel mio colon, ma non avevo potere decisionale in questo caso. Il tempo mi diede ragione, la parte restante del colon non tardò ad infiammarsi seriamente, per cui dopo pochi mesi ritornai sotto i ferri per farmi confezionare una bella ileostomia. I due interventi non sono stati facili, soprattutto perché molto ravvicinati, ma una volta senza colon mi sembrava di aver tolto il diavolo che c’era dentro di me, avevo una forza e un ottimismo che non avevo avuto nella prima operazione.
I tempi di recupero che avevo mi sorprendevano, perché mi sentivo in forze e tutte le cose mi sembravano così facili rispetto a tutto quello che avevo passato. Incominciai ad uscire di casa e ritornare a lavoro, in poco tempo capii che le cose erano cambiate, ma in meglio. Avevo il completo controllo della mia vita e riuscivo a fare cose che da anni non riuscivo a fare. Ho incominciato a togliermi sfizi che per anni erano rimasti chiusi nel cassetto, come le cene fuori casa con gli amici o passare giornate intere al mare. Non posso dimenticare la mia prima passeggiata in montagna dopo l’intervento, mi sembrava di aver conquistato una vetta dell’Himalaya.
Quando tornavo a casa da lavoro vedevo che le forze e il tempo per fare altro non mancavano, per cui decisi di fare un po’ di sport che di sicuro non mi avrebbe fatto male, anzi mi avrebbe aiutato a scaricare le tensione accumulate durante la giornata lavorativa. Per cui tirai fuori la mia mountain-bike impolverata e incominciai a farmi qualche giretto nel parco vicino casa. Il fatto che mio fratello facesse gare di duathlon (corsa-bici) mi aveva dato uno stimolo in più per non fermarmi ad un semplice hobby, ma di fare un vero e proprio sport, per cui incominciai anche a correre.
La corsa fu più traumatizzante della bici, i dieci anni di inattività causati dalla malattia si facevano sentire su muscoli e soprattutto sulle articolazioni, ma ai dolori ero abituato e ci voleva ben altro ad ostacolare il mio sogno. Due anni dopo l’intervento di ileostomia, ho incominciato a fare gare di duathlon, partecipando anche al campionato italiano, una delle esperienze più belle della mia vita, perché per la prima volta passavo da una sfida con me stesso, ad una competizione con altre persone e non mi sentivo da meno.
La stessa cosa l’ho provata lo stesso anno nella mia prima mezza maratona. Sempre nello stesso periodo mi sono iscritto ad un corso di nuoto con la mia Paola e insieme abbiamo imparato a nuotare, mi sarebbe piaciuto fare anche triathlon, ma purtroppo un infortunio mi ha allontanato dagli allenamenti, d'altronde la vita è fatta di compromessi ed ho imparato a godermi quel che viene. Ora mi tengo in forma andando a nuotare e facendo qualche passeggiata in bici senza pretese e senza rimpianti, sono contento di aver dimostrato a me stesso di non essere inferiore per quello che ho passato, anzi i sacrifici fisici nella vita mi hanno aiutato ad affrontare meglio quelli sportivi.
Questa “esperienza” mi ha cambiato profondamente: ora so pesare i veri valori della vita e apprezzare ogni singola fortuna che ogni giornata mi concede, come diventare in autunno padre per la prima volta, un sogno se penso a ciò che ho passato. Ritengo di essere stato molto fortunato, perché la vita mi ha dato un’opportunità e questa la sfrutterò fin quando potrò, rispettando sempre il prezioso dono che ho ricevuto. Se non apprezzassi questa grande opportunità che mi è stata data, mancherei di rispetto a tutte quelle persone che ora non ci sono più perché non hanno avuto questa preziosa occasione.
Riflettendo ho capito che non c’è nulla da vergognarsi in questa situazione, ma c’è solo da essere orgogliosi di essere riusciti a superare questo ostacolo mentale diventando una persona migliore sotto tutti gli aspetti. Tutto quello che ho descritto non sarei mai riuscito ad ottenerlo senza il loro aiuto: il mio chirurgo Piergiorgio Danelli e la sua equipe, mi hanno sempre dato la sicurezza che mi mancava e mi hanno accompagnato verso la strada giusta da intraprendere, trovare un medico con un’umanità all’altezza della sua professionalità è più unico che raro, ma io sono stato fortunato e l’ho trovato.
I miei gastroenterologi che ora mi seguono per tenere la mia malattia in remissione, ad Ornella, la mia ex stoma terapista (ormai trasferita nella sua amata Sardegna), la quale mi è stata vicina nei momenti così difficili di questo nuovo mondo e che col sorriso mi ha insegnato tanti piccoli segreti di cui farò tesoro, la mia attuale stomaterapista Marisa, la mia famiglia e mio fratello che mi sono sempre stati accanto e hanno creduto sempre nella mia forza. La persona però a cui devo tutto è la mia Paolina che ha condiviso con me ogni momento di questa avventura ed è stata la luce che mi ha accompagnato in questo lungo tunnel, oramai il buio è alle nostre spalle e pensiamo solo a ciò che di bello ci aspetta.
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